Ha fatto scalpore, negli ultimi giorni, la notizia della condanna – da parte della Corte di Cassazione – di un ginecologo di Mantova a risarcire una donna che ha messo al mondo una bimba affetta dalla sindrome di Down. La donna aveva infatti scelto di abortire se nel feto fossero sorti delle gravi malformazioni: nonostante ciò, il ginecologo non sarebbe andato oltre gli esami minimi e indispensabili (come il bi-test, che fornisce un indice di rischio delle patologie), ed ha quindi condotto la donna alla nascita della bimba, che poi si è scoperto affetta dalla sindrome.
La donna e il marito hanno dunque deciso di far causa al medico dieci anni fa, ma sia il primo che il secondo grado di giudizio non hanno dato ragione alla coppia. Il terzo grado di giudizio ha invece riconosciuto la validitĂ della loro battaglia, sollevando tuttavia evidenti polemiche, considerato che gli orientamenti del ministero della Salute invitano a evitare esami inutili o ridondanti, che si trasformano in sprechi e finiscono con il gonfiare le liste di attesa.
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La direzione della Cassazione è tuttavia abbastanza netta: secondo i giudici della suprema Corte, infatti, il ginecologo mantovano sarebbe da condannare perché, non avendo effettuato gli esami approfonditi, non ha avuto modo di diagnosticare la malformazione del feto. Dunque, non gli viene contestata la colpa medica, ma la negligenza di non aver creato un corretto rapporto con la sua paziente che, a quanto dimostrato, era proprio preoccupata da ciò, e ha manifestato più volte la necessità di non voler mettere al mondo un bimbo o una bimba con patologie e malformazioni.